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Eppure la voglia viene, quotidianamente dagli infiniti spunti della cronaca ma cercare di preparare due righe che parlino di attualità politica oggi, francamente lo reputo un compito piuttosto arduo. Due i motivi principali: innanzi tutto è diventata mania universale. Si scrive di tutto e di più, dalle facili considerazioni alle più confusionarie delle analisi anche se, in verità una cosa sembra mancare quasi del tutto: le soluzioni. D’altro canto è vero, tanti e poi tanti sono gli spunti da mettere in evidenza, tante le occasioni sulle quali scaricare la più sacrosanta delle indignazioni che quasi ci siamo dimenticati che a problema, di solito, occorre rispondere con una soluzione e non con accusa o denuncia che, per quanto sacrosante, sono diventate per molti l’unico modo per acquietare la coscienza e magari come “opinionista” tirarci pure su qualche soldo (i miracoli del progresso: fare i soldi dandoci degli imbecilli: incredibile ma vero).  Ed a nulla vale appellarsi alla sfuggente sindrome della competenza e della responsabilità. Non si può certo sperare in un ravvedimento di coscienza di quella che il tam-tam ha oramai soprannominato “casta” tanto, anche se lo facesse, oramai vogliamo tutt’altro che in modo shakespeariano la nostra libbra di carne. La pretendiamo. Il nostro nuovo mestiere è divenuto quello degli ispettori morali. Indaghiamo, sindachiamo, interroghiamo, spulciamo, verifichiamo e tutto ciò oramai assorbe buona parte del nostro tempo.  Ben ne abbiamo ragione si dice: i soldi che sperperano sono i nostri! E’ vero ma intanto l’emorragia non si ferma e soluzioni all’orizzonte non ve ne sono, nessuno ne porta,  di valide e percorribili s’intende, non di rattoppi. Questo è il grande e sublime inghippo. Più tempo perdiamo a verificare il danno, a cercare non tanto di turare le falle quanto solo ad individuarle per poi ammirarle con feroce quanto incantato sdegno, che il dovere, quello più alto, quello che ci verrebbe imposto proprio dall’istinto di sopravvivenza, viene disatteso. Il dovere di riemergere con soluzioni che fermino questa frana  che ci sta sempre più precipitando non nella sola miseria economica, quanto in quella culturale intesa come coscienza di essere.

 

gventi5Ciò che mi fa invocare lo scempio della coscienza sia individuale che civile sono le piccole cose e non i grandi disastri. Oggi ad esempio, quando in occasione del G20 a Cannes, sotto il logo della conferenza ho letto la scritta “noveau monde, nouvelles idées”. 

Bello, ad un primo sguardo mi viene da dire ma poi, rileggo ancora: “nuovo mondo, nuove idee” e nel rileggerlo mi rendo conto che a quel tavolo ci sono non solo coloro che giuridicamente si sono ultimamente sobbarcati la responsabilità di portare il mondo (perché sappiamo che la soluzione non è certo nell’isolato salvataggio di questo o quel paese) alle condizioni in cui versa, ma, ci sono anche coloro (gli stessi per l’appunto) ai quali abbiamo dato la nostra fiducia. E allora sale l’ironico sdegno, e il dubbio che forse non tocchi proprio a loro esercitare nuovi mondi e nuove idee visto che il loro credo sta nei risultati che vediamo.  E’ il perpetuarsi delle assurdità, il virus che si trasforma alchemicamente in vaccino.  E poi l’applicazione delle “nuove idee”. L’Italia che si fa controllare dal fondo monetario Internazionale, ovvero il famigerato FMI, quando - e questa è storia – dal giorno che é stato costituito non v’è nazione da citare che, dopo aver seguito le regole impostele, sia giunta a pronta guarigione. Quelle che ci sono riuscite è perché sono scappate. Il fondo Monetario non è un organismo sorretto da Stati Sovrani e quindi da popoli, è bensì proprietà di Grandi istituti bancari e pertanto, come tutti i goldoniani servitori, risponde al proprio padrone, alla sua logica ed al suo tornaconto, sulla cui etica, forse, v’è qualcosina da obiettare. O ancora le altrettanto famigerate agenzie di rating, quelle cioè che danno i voti alle aziende, alle banche e poi alle nazioni. Gventi7Quelle che cioé dicono se sono o meno affidabili. Ebbene, le tre maggiori agenzie, che oramai in tutto il mondo occidentale sono affermatissime (Fitch, Moody's e Standard & Poor's), sono le stesse che decretarono perfettamente in salute le grandi banche e assicurazioni americane che non più di due anni fa, con il loro fallimento, innescarono quella reazione a catena nella quale ci troviamo, chi più e chi meno, impegolati. Sono le stesse che considerarono leciti, convenienti e profittevoli i cosiddetti e famigerati “prodotti finanziari derivati”, sui quali non mi dilungo in questa sede. Che fiducia dobbiamo dunque dar loro oggi quando indicano ora un paese, ora l’altro, sull’orlo del fallimento o, per contro, danno il massimo dei voti ad una multinazionale piuttosto che non ad una banca? Certo tutto questo non accade per puro spirito masochistico da parte delle nazioni o quanto meno degli uomini e donne che ne detengono le redini.  Sappiamo ormai per certo che vi è chi ci guadagna cifre enormi. E per prime proprio loro visto che, comunque non fanno questo lavoro per filantropia.

Ma - vedete quanto è facile -  non voglio ricadere ancora nella manzoniana invocazione del “dalli all’untore!!!”, perché a queste oramai acclarate verità altre ve ne sono, ben più inquietanti perché ci riguardano come individui che molto spesso, per una irresistibile tendenza ad un facile benessere, non siamo stati tanto a guardar per il sottile e per non rispondere a certi richiami suadenti non ci siamo fatti legare come Ulisse ma anzi, abbiamo ceduto anche con ingordigia, tanto che, come avvenne non più di un anno fa, un ministro del governo greco, alle ovvie e circostanziate contestazioni che gli arrivavano dalla piazza, rispose, anch’egli con veemente sdegno, che tutti indistintamente avevano sino ad allora goduto della effimera ricchezza del paese, i politici, gli imprenditori ed i cittadini perché lo stato, pur di non lasciarli per strada, li aveva tutti assunti come impiegati e funzionari pubblici, creando organismi su organismi.  Quel Ministro oggi, è là al suo posto, ciò che ha detto corrisponde a verità, oggi, in quel paese, oltre 30.000 di quegli “impiegati in eccesso” vengono licenziati.

Allora l’esercizio giornalmente ed ampiamente diffuso dell’accusa, della denigrazione, così avvincente che c’è chi almeno tre o quattro volte al giorno ti invia ora quella ora questa novità scandalistica forse dovrebbe trasformarsi in uno sdegnoso silenzio. Oramai tanto è diventato un gioco. Rari sono in casi in tutto il mondo in cui i cosiddetti “responsabili” hanno pagato a seguito di tali denunce. Rari. E comunque tutti personaggi di secondo piano o, comunque ormai sacrificabili. E rare sono le persone che si sono formate una coscienza civile da questa ridda di denunce, molte delle quali oramai infarcite di uno spirito satirico che addirittura da tragedie le trasforma in piacevoli farse sulle quali ridere, scherzare e creare epiteti e modi di dire.

Altre sono le cose da fare probabilmente. La continua denuncia senza dubbio tiene alta l’attenzione sul problema è vero ma poi inevitabilmente, l’effetto si trasforma e diventa sovraesposizione, diventa ovvietà, diventa abitudine. Le campagne martellanti per vendere un certo prodotto non hanno mai di fatto portato ai risultati attesi o proporzionali allo sforzo. Non comprare in silenzio quel prodotto ha però più volte portato alla chiusura di quel marchio. E comunque, nel frattempo, dopo aver perso tutto questo tempo a collezionare piccoli e grandi scandali nessuno, ma proprio nessuno ha riflettuto sulle alternative, su quel “nuovo mondo, nuove idee” che non dovrebbe essere lo slogan di un G20 nel quale in molti non si sentono più rappresentati, bensì dovrebbe divenire da oggi, il nuovo dovere di noi tutti.

L’esercizio della democrazia è l’esercizio più difficile che ci sia al mondo. Forse, come molti credono (ed anch’io vi sono propenso), perché è contro natura.  O quanto meno, oggi, contro quell’abitudine consolidata per cui inalienabili, inviolabili e intoccabili sono i diritti, sempre e comunque discutibili sono i doveri. Quando, in realtà specie in un mondo sovraffollato, solo un rigido senso del dovere potrebbe ridarci la libertà di credere in un futuro diverso da quello che si sta allargando a macchia d’olio e contro il quale si riesce ad opporre soltanto uno sdegno modaiolo che affoga la rete, inonda i social network, ti accoglie intasando la casella di posta al mattino.

Gventi3Vorrei non avere come unica contropartita il mito del “buon selvaggio” o meglio, ad esso successivo, quello della meravigliosa definizione di Lovejoy e di Boas che nel 1936 stabilirono ambiti e confini del “primitivismo cronologico” e del primitivismo culturale”, affidando al primo il compito di vedere nel passato, nella mitica età dell’oro, quanto di meglio poteva esserci, in aperta lotta dunque con il progresso e con quello che esso comporta quanto a desideri e fabbisogni tanto da arrivare, come ebbe, seppur in chiave puramente estetica ad identificarci Ernest Gombrich, all’odierna età del plutonio, quale massima contraddizione in terminis della bontà del progresso.  Accanto, il primitivismo culturale invece non ha interesse per il trascorrere del tempo quanto si concentra sulla differenza socio-culturale che differenzia il cittadino sempre al costante quanto frenetico slancio verso il puntuale aggiornamento del proprio benessere, in aperto contrasto con chi dimora in taluni luoghi ancora semi-isolati dove una maggiore semplicità permette un rapporto diverso con la vita e dove i bisogni sono calmierati da una maggiore qualità ambientale.

A questo dunque deve rivolgersi il nuovo futuro? Probabilmente no. Certo che reinventare dei modelli sociali che funzionino, dopo il collassamento sia del comunismo che del capitalismo, almeno nella loro accezione storica, presuppone, fondamentalmente, il riappropriarsi di regole e quindi il riappropriarsi di doveri che siano le basi per ricostituire il paniere dei diritti cui accedere. Solo una comprensione del dovere porta con sé il dono del diritto. Non è la bramosia di riacquistare diritti in una sistematica anarchia e deregolamentazione che permetterà di conservarli senza che non diventino sempre più strumento per calpestarci a vicenda. Ed il dovere prima di essere collettivo è individuale. Ed è questo in fondo il grande mistero della storia. Lo scontro tra l’uomo ed il dovere, tra la propria indole e le regole con le quali vuole autodeterminarsi. Lo scontro tra ciò in cui aspira ed i modi per attuarlo. La sostenibilità dell’uomo con se stesso.  Questo è il problema maggiore che ancora la storia, specie quella recente, non è stata in grado di risolvere. Un problema che si è accresciuto con l’accrescimento demografico, un problema che non casualmente esplode nelle grandi città ma non per difficoltà ambientali, quanto per un istinto che non è propriamente quello dell’essere socialmente idoneo.  Quanto la democrazia è naturalmente un ambiente sostenibile per l’uomo? Quanto, ammesso che sia un modus vivendi ideale per una società, può essere mantenuta senza un necessario e rigoroso rispetto di un senso civico del dovere?  Senso civico che diviene cardine sul quale far crescere e prosperare la libertà, quale che essa sia, di espressione, di religione, di credo politico, d’arte, di creatività.  Quanti esempi ci pone la storia in cui società ordinate e democratiche hanno resistito, prosperato, proliferato per qualche secolo almeno. Nessuna. Quelle che più hanno prosperato sono state regolarmente mantenute in vita con il ricorso non ad un ordine naturale proveniente da un senso civico, ma da un ordine forzato, negando pertanto quel senso stesso di democraticità e di libertà che invece avrebbe dovuto ripristinare.

Gventi2Oggi si parla tanto, ma più che altro si twitta, si condivide, si blogga, si messaggia; un raccontarsi continuo, incessante, ormai senza limite né territoriale né cronologico che da ogni parte del mondo e ad ogni ora si riversa in quel grande calderone della rete che sta diventando sempre meno servizio e sempre più pattumiera, non tanto di volgarità e di ovvietà - che pure non mancano- quanto di cose scritte per non si sa chi. La rete che nell’esercizio della propria funzione perde la propria identità di servizio globale autofagocitandosi e che ogni volta come in un nastro di Möbius,  si riempie e si svuota in un automatismo che non lascia praticamente traccia alcuna, apparentemente sempre nuovo, perpetuandosi e perdendosi nell’anonimato globale. Non ci facciamo ingannare dagli isolati episodi ai quali tutti d’altronde abbiamo plaudito, come in occasione della recente primavera araba, per citare un esempio, dove i social network hanno senza dubbio avuto una funzione di comunicazione e di aggregazione. Ma quanto questo e pochi altri episodi pesano, in percentuale, sul traffico giornaliero della rete stessa? Forse lo 0,001%. Non sono mai i fatti eclatanti a fare la storia, quelli sono buoni solo per coloro che non si interessano e che necessitano pertanto del fatto clamoroso per accorgersi di qualcosa. Ma in quel momento tutto è già compiuto, In quel momento è tardi. La storia ha già scritto le premesse e la maggior parte del cammino di un certo avvenimento ed oramai non lo so può più bloccare. Gventi4E’ nello scambio giornaliero di impressioni, di passioni, di idee che questo può avvenire, soprattutto, di idee!!!!!!! Nello scambio di idee si creano nuovi presupposti. Quindi “noveau monde, nouvelles idées”, da oggi scriviamolo noi, contenuti compresi. Impariamo un modo nuovo di proporre gli argomenti dando un vero significato alla cosiddetta “scrittura creativa”. Ogni volta che si evidenzia un fatto, si propone una denuncia, sacrosanta che sia, aggiungiamo in fondo almeno una piccola indicazione di come curare, di come risolvere quanto stiamo evidenziando. Diamoci il coraggio nello scambio delle idee di ritrovar la strada affinché il messaggio sia giusto. Si, perché se ancora qualcuno non l’avesse capito, lo slogan del G20 è sbagliato perché è al contrario! Questo è quello giusto “nouvelles idées, noveau monde”, ovvero, nuove idee per un mondo nuovo. 

Gventi1

Tag(s) : #Attualità
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